La famiglia Ballatore e i ricordi della “cantina de Mazzucche”

Foto, ricordi ed emozioni di Mario “Mazzucche” Ballatore

Nella nostra città ci sono dei luoghi dove la passione per la Samb si carica di un valore sacro: il tempo che scorre non ne scalfisce il ricordo né danneggia la sua importanza simbolica. Uno di questi luoghi si trova in pieno centro, oggi è un ristorante etnico ma un tempo era conosciuto come “la cantina de Mazzucche”: un punto di ritrovo per tifosi, giocatori e allenatori. Il protagonista  della nostra rubrica  è Mario Ballatore: per tutti, appunto, Mazzucche. 

“Anche se da molti anni non c’è più, ricordo molto bene la cantina di mio nonno. Io abitavo al piano di sopra e tutti i giorni pranzavo e cenavo insieme alla numerosa famiglia nella cantina. Da piccolo passavo intere giornate insieme ai miei nonni e lì mi è stato tramandato l’amore per la Sambenedettese”.

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“Questa è una foto della storica promozione della stagione ’73/74. In tutta la città è scoppiata la festa per la promozione in Serie B e nella cantina il vino scorreva a fiumi. San Benedetto per giorni era bloccata dai festeggiamenti e quell’atmosfera di gioia sembrava non dovesse finire mai. Io avevo pochissimi anni, ero in piedi sul tavolo affianco all’otre di vino più grande di me”.

Mazzucche 2 “In questa foto, invece, ero in braccio a mio zio in compagnia dello storico numero 11 Gregorio Basilico. Ancora oggi conservo la sua maglia come una reliquia. Con Basilico posso dire di esserci cresciuto: lui ha fatto il militare con zio ed è sempre rimasto legatissimo alla nostra famiglia. All’età di 4 anni mio padre Domenico mi portò per la prima volta al Ballarin. I primi ricordi nitidi di partite che ho visto sono quelle contro la Sampdoria e il Palermo. Ricordo molto più chiaramente, invece, il rito che seguivamo ogni domenica. Era il giorno in cui  si faceva la passatella e il mitico Lallo, amico di nonno e storico cliente della cantina, faceva la spola dal Ballarin in centro per aggiornare sul risultato della Samb. Io, con mio padre, andavo allo stadio percorrendo la via dei cachini, come la chiamavo io per via dei tanti cachi che c’erano lungo la strada”.

Come viveva la partita la tua famiglia?

“Ogni domenica la famiglia si divideva per andare allo stadio. Mio padre mi portava con sé in tribuna, mentre mio cugino andava insieme a Nonna Ciola in curva sud. Mia nonna era una tifosissima rossoblu, una delle rare eccezioni di donne che seguivano la Samb anche in trasferta. In quegli anni non era una cosa consueta: non c’erano settori riservati agli ospiti, i tifosi di casa e quelli da fuori si mischiavano e scoppiavano piccole risse con grande facilità”.

Ricordi un aneddoto particolare legato al Ballarin?

“Escludendo la tragedia del Ballarin e tutte le sensazioni di quel tragico giorno, mi viene in mente un ricordo legato a Gigi Cagni. Era il mio giocatore preferito della Sambenedettese, lo idolatravo. Durante una partita contro la Ternana, però, sotto un acquazzone pesantissimo Cagni favorì la vittoria della Ternana con un errore non da lui. Ero disperato perché il mio idolo assoluto aveva fatto vincere gli avversari. Nonostante questo, resta il giocatore a cui mi sono affezionato di più negli anni del Ballarin. A dire il vero, ho sempre avuto un debole per i difensori, tanto che al Riviera mi innamorai del grande Gennaro Grillo. Menava come un cane arrabbiato: conservo la sua maglia numero 5 affianco a quella di Basilico. In suo onore realizzai, insieme al mio amico Nino Ciampolillo, lo striscione Grillo Group”.

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Com’è cambiato il tuo modo di vivere la Samb con il passaggio al Riviera?

“Ci sono voluti pochi mesi per rimpiangere il Ballarin e lo rimpiango tutt’ora. La più grande differenza che mi viene in mente è che a quei tempi si cominciava a vivere il clima partita già dalle 10 del mattino. Non era raro che in centro o in giro per la città si accendesse qualche scazzottata, soprattutto nelle partite più sentite. Tutto questo fermento, poi, veniva trasportato dentro il Ballarin: le ombrellate contro i guardalinee, mettere il fiato sul collo degli avversari e dell’arbitro…era un altro modo di vivere la partita. Quando è stato costruito il Riviera c’erano determinate esigenze: lo stadio grande, fuori dal centro, lontano dal campo. La passione e la voglia di tifare è rimasta, ma il contesto è completamente diverso”.

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Con la nascita di tua figlia hai sperimentato l’emozione di tramandare l’amore per i colori rossoblu. Come ti sei comportato?

“Ho voluto aspettare che fosse lei a chiedermi di portarla allo stadio per non forzarla. La sua prima esperienza è stata in tribuna, ma mi sono accorto subito che non le piaceva. Lei guardava la curva, voleva cantare e così mi decisi di portarla in curva con me. Da quel momento non si vuole più perdere una partita: rigorosamente attaccata alla transenna e tutta orgogliosa quando esce dallo stadio senza voce. Averle tramandato questa passione è una delle più grandi gioie della mia vita”.

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