Remo Croci tra passato, presente e futuro: “La storia non si demolisce, la storia si conserva!”

Dalla prima partita al futuro del Ballarin: ricordi e sogni di Remo Croci

La rubrica “Di padre in figlio: storie di Samb” prosegue con uno dei tifosi rossoblu più conosciuti a San Benedetto e in Italia: Remo Croci. I suoi ricordi spaziano dalle prime partite al Ballarin fino alla storica salvezza contro il Lumezzane nell’anno dell’autogestione, e approdano all’attualissima discussione sul futuro del Ballarin.

Iniziamo con l’ormai consueta prima domanda: qual è la tua prima partita della Samb?

Ho un aneddoto molto particolare riguardo la mia prima partita. Io sono nato nella Clinica Perotti in una domenica  del ’57 in cui la Samb giocava contro l’Arezzo. Pochi anni dopo entrai per la prima volta allo stadio: la Samb militava in Serie C e indovina contro chi giocava? Ancora una volta contro l’Arezzo.
A farmi scoprire il Ballarin fu mio padre Saverio, che era vigile urbano e ogni domenica mi portava con sè facendomi sistemare dietro la curva sud, vicino al bar. C’era un prete sacramentino, Padre Monieri, a cui venivo affidato ogni domenica ed io, attaccato alla rete, guardavo la partita.

Qual è l’emozione più bella legata allo stadio Ballarin?

I momenti  che non dimenticherò mai in positivo sono due. Il primo è legato alla vittoria del campionato con Bergamasco. All’epoca avevo 16-17 anni e vedevo le partite nel settore prato. Lì, insieme ad alcuni amici, diedi vita alla prima forma di tifo organizzato. C’erano Ciaralli, Bernardini, Francesco il batterista e tanti altri. A casa di Bernardini formammo un club, e con i tamburi davamo il ritmo alla partita. Subito dopo cominciai l’attività di giornalista con Tele Cavo e della Samb diventai cronista, oltre che tifoso.

Samb Inter 2-0 Faccini

L’altra grande emozione fu la vittoria della Samb contro l’Inter in Coppa Italia, con doppietta di Faccini. Sono sempre stato tifoso dell’Inter, anche se ovviamente il mio cuore è rossoblu:  quel giorno non avevo dubbi su chi tifare.

Foto tratta da tuttocalciatori.net

Della Samb non sei stato solo tifoso e cronista, ma anche dirigente.

Se non ci fosse stata la Samb a quei livelli io stesso avrei avuto poca possibilità di confrontarmi con storie di calcio nazionali e anche di conoscere città, stadi, persone importanti nel mondo del giornalismo. A San Benedetto, alla Samb, e alla Tele Cavo devo tutto. Questo debito di riconoscenza l’ho azzerato sia attraverso i contributi che ho dato nelle varie gestioni in cui sono stato chiamato, e soprattutto nell’anno dell’autogestione. Dopo il match contro il Ravenna, accettai la proposta di Zigna di fare qualcosa per salvare la Samb. Ci prendemmo sulle spalle una situazione molto grande che, se fosse andata male, avrebbe rovinato il mio rapporto con la città.

Avevamo contro  TUTTI: non solo la Lega, pronta a penalizzarci ogni settimana, ma anche in loco ci trovammo di fronte al plotone di esecuzione di alcuni personaggi locali che, mossi da invidia e gelosia, più di mirare alla salvezza della società, speravano nel mio fallimento personale. Ciò mi ha spronato ad impegnarmi  ancora di più, insieme a tutti gli altri “folli” che si erano messi a disposizione. Ognuno mise a disposizione le proprie competenze per provare a recuperare una situazione ormai compromessa.

Dovevamo trovare il modo di garantire le spese quotidiane di una squadra di calcio. In quel periodo, piaccia o no, fu Sergio Spina a sostenere quei giocatori che non potevano più permettersi le spese dell’affitto, e il suo hotel diventò il punto di riferimento della squadra.

La Gestione sportiva fu affidata a Beni e Chimenti, che allora lavorava nel mercato ittico ma non riuscì a rifiutare la chiamata dell’amata Samb. Ogni giorno mi confrontavo con Cagni, Colantuono, Ballardini e in alcune partite ricevevo i loro suggerimenti in diretta e li consegnavo alla panchina tramite il segretario Marchionni.

Foto tratta da www.ilquotidiano.net

Foto tratta da www.ilquotidiano.net

L’avventura si concluse alla grande con la vittoria in casa contro il Lumezzane, ma in quel periodo successe di tutto.  Ai  danni del portiere Concetti, per esempio, ci fu un tentativo di combine: un soggetto si presentò da lui offrendo tanti, tanti soldi per cercare di falsare Samb-Genoa. Noi denunciammo immediatamente la cosa, ma la denuncia cadde nel vuoto. In quella stessa partita Faieta giocò  con le scarpe rotte, perché non c’erano i soldi per comprarle di nuove. Io gli promisi di ricomprargliele in caso di vittoria e il caso volle che proprio lui decise la partita con una doppietta: due gol segnati con scarpe riparate alla buona con dei cerotti!

Quali sono i  giocatori più forti che hai ammirato al Ballarin?

Oggi posso dire di aver avuto la  fortuna di veder giocare Rinaldo Olivieri, detto Renato. Ci sono altri giocatori che mi sono rimasti nel cuore: Stefano Borgonovo, Francesco Chimenti e Maurizio Simonato. Loro, come tanti altri, hanno reso indimenticabili quegli anni al Ballarin.

Foto tratta da www.ilquotdiano.it

Foto tratta da www.ilquotidiano.it

 

Com’è cambiato il modo di vivere la Samb e lo stadio dai tempi del Ballarin ai giorni nostri, dopo 4 fallimenti?

Per me è cambiato tutto perché è cambiata l’età. Il Ballarin era per molti una seconda casa: gli uomini in giacca e cravatta, le donne eleganti. Era la seconda casa dei sambenedettesi. Poi le esigenze dell’ordine pubblico hanno portato alla costruzione del Riviera Delle Palme. Oggi, nel vedere lo sforzo per ideare una struttura del genere, mi viene il magone nel vedere i continui divieti nei confronti delle tifoserie ospiti.

Qual è il tuo sogno legato al Ballarin?

Il mio sogno è restituire una struttura alla città. Io preferirei che lì fosse mantenuto un campo di gioco, per far allenare non solo la Samb e le sue giovanili, ma anche le altre squadre dei quartieri.

L'attuale stato del Ballarin.

L’attuale stato del Ballarin.

Deve tornare ad essere un luogo vissuto. Il Ballarin si è ridotto così per precisa volontà dei politici, in maniera da poterlo abbattere. Non si può cancellare una storia di decenni in nome di un progresso che, in realtà, è cominciato proprio lì. La storia non si demolisce, la storia si conserva!

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