Palladini: “Lavorare con i giovani mi ha aiutato a crescere”

L’intervista a a Ottavio Palladini, inserita nel magazine natalizio dell’Associazione 


SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Nel passaggio dal campo alla panchina Palladini non ha cambiato ruolo: l’ha ingigantito. Da centrocampista era il riferimento centrale della squadra, da allenatore è diventato il punto fermo di un’intera tifoseria. Palladini è il ricordo di un glorioso passato e la promessa di un grande futuro, un “figlio” dei tifosi più anziani (che l’hanno visto crescere) e il “padre” dei più giovani (che hanno gioito quasi esclusivamente con lui). L’allenatore rossoblu ha vinto due campionati su quattro, ma è subentrato più volte di quante abbia iniziato. È il primo amore al quale si torna sempre, la forza totemica alla quale affidarsi nei momenti più difficili. Esagerando – forse no – potremmo paragonare Palladini al Faro, o al Pescatore; o dire che lui sta alla San Benedetto calcistica come Batman sta a Gotham.

Mister, il tuo nome – tra tanti, bellissimi ricordi – è associato ad un momento “agrodolce”. Vittoria del campionato a maggio, retrocessione ad agosto. Ci racconti quei momenti?

È stata una stagione entusiasmante, difficile, sudata fino alla fine. La storia la sappiamo tutti, Sul campo abbiamo meritato pienamente la promozione, vinta con le unghie e con i denti. Avevo lasciato una squadra che pensavo tornata tra i professionisti, e invece abbiamo perso tutto.

L’anno è stato certamente faticoso. Ma con un’altra società, con altre situazioni, saresti potuto rimanere?

Lo stress fa parte della vita di un allenatore, specie quando si è in una piazza importante. In quel periodo era giusto così, a prescindere dalla società; dopo quattro anni da allenatore in prima squadra era tempo di lasciare il testimone a qualcun altro. Ritenevo di aver portato a termine un ciclo vincente, data la promozione: purtroppo è stato spazzato tutto via.

Quell’estate è nata anche Noi Samb: sei stato tra i primi ad aderire.

Ho aderito immediatamente perché in quel momento si poteva e doveva provare a salvare la Samb. Era iniziato un progetto importante che era quello di coinvolgere tutti i tifosi ed era giusto fare qualcosa; purtroppo non siamo riusciti a salvare la squadra. A quel punto i dirigenti dell’Associazione hanno deciso di aiutare il club rossoblu prendendo a loro carico l’intera organizzazione del settore giovanile. Un compito lodevole non solo per le spese da sostenere ma anche per l’importanza che finalmente si attribuiva alle giovanili di questo club. Mi hanno chiesto così di assumere il ruolo da responsabile.

Per me sono stati due anni e mezzo indimenticabili, e penso che – insieme all’Associazione – si sia riusciti a fare qualcosa che non era mai stato fatto in precedenza. Li ringrazio per avermi dato questa possibilità e per aver sempre creduto in me. Il loro instancabile sostegno, anche nei momenti difficili, è stato per me prezioso.

Da allenatore a responsabile del settore giovanile. È stato difficile, il cambiamento?

Quando Noi Samb mi ha proposto la cosa ho dovuto pensarci. Non si trattava solo di accettare un incarico, ma di fare una scelta di vita. Una scelta presa per amore di questa maglia. Nel cambio di ruolo non ho avuto tante difficoltà. Ci ho messo impegno e passione, come al solito, e queste cose pagano sempre. Di certo, le situazioni da affrontare erano cambiate drasticamente. Il calcio si vive costantemente sotto pressione, e – specie l’ultimo anno – si giocava settimana dopo settimana. Nel settore giovanile c’è più tranquillità perché si ragiona (e si programma) a lungo termine. Anche in prima squadra c’è programmazione, ma lì ogni discorso è influenzato dai risultati.

Sei passato da un lavoro difficile ad uno forse più complicato.

Bisognava ricostruire un settore giovanile dal nulla, con pochi ragazzi e nessuna struttura. Non è stato per niente facile, ma ho avuto la fortuna di avere tante persone, al mio fianco, che mi hanno dato fiducia e supporto. Dal segretario Piunti a Massimiliano Zazzetta, Ogliari, Voltattorni, Lattanzi, i massaggiatori, tutti quelli che hanno lavorato “dietro le quinte”. Senza di loro non sarebbe stato possibile.

Sei soddisfatto? Qual è il bilancio di questa esperienza?

Bilancio è stato buono. Abbiamo fatto crescere tanti ragazzi, molti dei quali sono stati richiesti anche da società professionistiche. Abbiamo giovani che hanno esordito (o si avvicinano) alla prima squadra, e altri che sono andati a fare esperienza in club di Eccellenza e Serie D. Abbiamo un buon vivaio, ma per fare ancora meglio bisogna sperare che la Samb torni tra i professionisti. Con la Samb in Lega Pro il settore giovanile avrebbe la possibilità di fare quello che stanno facendo squadre come Ascoli, Pescara e Teramo, in termini di scouting e tornei giocati. In questo momento è difficile – se non impossibile – trattenere giocatori richiesti da società professioniste: un conto è disputare i campionati provinciali, un conto giocare contro Milan, Roma e Lazio. Affrontare squadre blasonate è un’opportunità di crescita, e togliere questa possibilità non è semplice.

L’opinione comune è che in prima squadra siano arrivati meno ragazzi di quanti avrebbero potuto. Credi che ci sia stata poca considerazione? 

Due anni fa e l’anno scorso forse era presto, anche se Gentile ha fatto 4 partite e un gol. Quest’anno si sono dovute fare le cose un po’ di fretta: inserire pochi ragazzi non è stata una scelta. Ma la società punterà molto sui giovani.

Rispetto alle scorse stagioni si parla molto di più del settore giovanile, e tu potresti essere il ponte ideale verso la prima squadra. In futuro è lecito aspettarsi più ragazzi del vivaio?

In questo momento c’è sicuramente più interesse, rispetto al passato, ma non è per merito mio. È una volontà che parte dalla società. Rispetto alla scorsa stagione c’è sicuramente più attenzione verso i nostri ragazzi, il resto dipenderà dalla loro crescita.

Durante questi due anni e mezzo è stato spesso invocato il tuo nome, nei momenti di difficoltà. È una situazione scomoda, specie per una persona già presente in società: queste situazioni hanno danneggiato il tuo rapporto con gli allenatori del periodo?

Non ci ho mai pensato, né dato peso alla cosa. Ho sempre fatto il mio lavoro rispettando gli altri e senza farmi condizionare: essere allenatore in prima squadra non era mai stato nei miei pensieri. Quest’anno è arrivato tutto all’improvviso, la cosa ha sorpreso anche me. Il presidente ha chiesto la mia disponibilità la sera della sconfitta col Matelica: ho risposto che io ero un uomo della società, e – se avesse pensato fossi la persona giusta – avrei accettato volentieri. Il giorno dopo ero allenatore della prima squadra. Il rapporto con Fedeli è ottimo.

È la terza volta che subentri a campionato in corso. Somiglianze?

Ogni momento ha una situazione diversa. Questa è la prima volta che subentro in una squadra prima in classifica: un compito arduo, ma non mi spaventa. Come le altre volte, cerco di prendere le mie responsabilità; e di farlo con raziocinio e intelligenza.

Ti senti cresciuto, rispetto alla tua ultima esperienza in prima squadra?

Sicuramente. Lavorare coi ragazzi ti fa gestire meglio delle situazioni umane, ti dà più elasticità e capacità di leggere alcune situazioni. Ci sono molte cose alle quali faccio più attenzione, e altre che riesco a gestire meglio.

In prima squadra hai ripreso (con successo) il 4-2-4 utilizzato anche tre anni fa, e che ti aveva portato qualche critica. Una bella rivincita. 

Nessuna rivincita. Che non potevo più giocare in quel modo lo sapevo benissimo, ma abbiamo notato che si poteva provare: la predisposizione c’era, ma poi si è visto che le caratteristiche dei giocatori non erano adatte. Quest’anno stiamo variando tra 4-4-2 e 4-3-3, ma – più del modulo – è importante l’atteggiamento da parte di chi va in campo. Se giochi col 4-4-2 (o 4-2-4) ci vuole predisposizione al sacrificio. In questo momento c’è, ma quando arriveranno difficoltà sarà giusto cambiare.

Stavolta – rispetto alle tue ultime esperienze – hai alle spalle una società forte, solida. Questo ti dà più tranquillità, o ti senti più costretto a fare bene?

Le responsabilità e le pressioni sono sempre le stesse. Se si gioca per vincere l’attenzione è sempre altissima, a prescindere dalle situazioni extra campo. Adesso c’è il plus di una società seria, solida, che vuole programmare un futuro vincente. E questo è sicuramente importante.

Che futuro vedi, per te e la Samb?

In questo momento penso solo a fare bene questo campionato, in futuro si vedrà. Mettiamola così: sono tornato a pensare a breve termine. Quello che è certo è che abbiamo una dirigenza forte, solida, che non fa mancare niente a nessuno. Dopo tante tribolazioni abbiamo la possibilità di lavorare in condizioni ottimali: dobbiamo sfruttare questa occasione.

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