Profezia autoavverante

Più che sulla cabala (i dorici non vincevano al Riviera da 82 anni), il campo (una sola sconfitta in casa per i rossoblu, zero vittorie fuori per l’Ancona) e la classifica (13 punti di differenza), la gara tra Samb e Ancona si è consumata sul piano mentale. Se l’Ancona poteva contare sullo slancio delle gare con Parma, Feralpisalò e Padova, i rossoblu arrivavano al derby investiti da una spirale di critiche che coinvolgevano squadra, allenatore e direzione tecnica.

Distanza

Che la partita fosse iniziata prima del fischio d’inizio si vede sugli spalti (con i cinquecento dorici indiavolati) e in campo, dove il 4-3-3 di Brini cerca subito di imporsi sulla partita. Rispetto alle altre partite fuori casa la squadra dorica ha impostato una pressione più alta sugli avversari, con le tre punte in disturbo ai quattro difensori e i tre centrocampisti a uomo sui pari ruolo rossoblu.

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La marcatura a uomo sui centrocampisti e la pressione delle tre punte

L’atteggiamento degli ospiti mette in difficoltà i rossoblu, che dopo l’occasione di Samb (recupero di Gelonese su Radi) decidono di prendersi meno rischi.

Per allentare la pressione i rossoblu avanzano molto Sabatino (spesso una punta aggiunta) e tengono quattro giocatori offensivi in linea, allo scopo di avere più possibilità in verticale e (soprattutto) una soluzione per tenere alta la squadra. L’Ancona non molla il freno, però; i dorici rischiano il 4 contro 4 difensivo e mantengono la squadra alta e compatta, costringendo i rossoblu a giocare sull’esterno (dove arrivava sempre il raddoppio) o con lanci lunghi, costantemente sporcati dalla pressione degli ospiti.

In poco tempo i rossoblu si trovano spezzati in due, mentre gli anconetani – aggrappandosi alle capacità nel gioco aereo di Samb, e alla rapidità di Frediani e De Silvestro – alzano il baricentro di tutta la squadra.

Duelli

Per limitare i tre giocatori offensivi Palladini imposta una marcatura a uomo sui due esterni (presi in consegna dai terzini), con il resto della squadra molto compatto per assorbire gli inserimenti delle mezzali. L’atteggiamento è efficace per buona parte del primo tempo (l’Ancona si libera solo per conclusioni da fuori), ma le prime sbavature costano subito caro.

Al 28esimo Forgacs (perso da Mancuso) si inserisce alle spalle della difesa e manda in porta Samb (che spara alto), dieci minuti dopo – su una palla persa a centrocampo – Di Filippo viene preso alle spalle da Frediani, che lo brucia e (con la complicità di Aridità) segna l’uno a zero.

I rossoblu – che avevano sfiorato il gol con Sabatino, poco prima – provano subito a cambiare l’inerzia. Sopo l’occasione di Tortolano (a fine primo tempo) la ripresa si apre coi padroni di casa in attacco: nei primi 5′ i rossoblu vanno al tiro con Sorrentino, Berardocco e Radi, e al 57esimo passano al 4-2-4 con Fioretti al posto di Berardocco.

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La ricerca del caos

L’assetto spezza in due la squadra, e costringe i due centrocampisti – Lulli e Sabatino – a un superlavoro, sia in fase difensiva che nel garantire palloni giocabili ai tre di attacco. La mossa, poco sostenibile, viene valorizzata dalle grandi prestazioni di Mori e (soprattutto) Radi, che – insieme a Sabatino – diventa l’arma principale per fare arrivare la alla nell’ultimo terzo di campo. Proprio su giocate dei due arrivano le occasioni di Sorrentino (sfortunato nel rimpallo) e Di Massimo, atterrato con un intervento al limite da Daffara.

La mossa non basta, e nel finale Palladini cambia ancora, inserendo un altro provider di palloni in area (Pezzotti) per Di Filippo, e stringendo al centro i tre attaccanti.

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Il 3-4-3 crea tante situazioni in area (e il materiale per diversi contatti contestati), ma non cambia il risultato. I rossoblu chiudono con sei giocatori sulla linea offensiva e tanti rimpianti, compresa la strana sensazione di non saper più approfittare di quello che un tempo era il fattore Riviera – dove bastava spingere la palla in avanti perché accadesse qualcosa di fondamentale.

Profezia autoavverante

Dopo Albinoleffe e Modena (ma anche Reggiana e Bassano), i rossoblu hanno confermato la difficoltà nel trovare alternative una volta che gli avversari hanno soffocato le loro fonti di gioco. Questa squadra ha tanti modi per difendersi, ma – banalmente – pochi per attaccare; costretta a vincerle tutte – e copevolizzata per ogni passo falso – ha finito per rivelare la sua fragilità.

Dopo mesi di partite sempre sminuite o sempre enfatizzate, dichiarazioni contraddittorie e critiche eccessive, i rossoblu sembrano arrivati allo stremo. Finché la squadra ha potuto andare al di là delle critiche con i risultati, Palladini e Federico sono riusciti a mantenere le redini; ora che la squadra ha subito un – necessario – plateau di crescita, tifo e dirigenza hanno iniziato a fare la conta dei colpevoli, finendo per innescare una spirale negativa che si ripercuote in campo. La dirigenza ha avuto grandi meriti nell’arrivare fin qui, ma non può esimersi dalle colpe.

Lo abbiamo visto con Pegorin (colpevolizzato per un non errore e da lì sempre meno sicuro), lo vedremo presto con Pezzotti, Fioretti e Di Massimo. Una società che accusa i giocatori per ogni-singola-partita non aiuta nessuno, se non sé stessa: ma in campo va la squadra. Finché ci saranno direttori sportivi usa e getta, allenatori delegittimati e giocatori con la data di scadenza, le risorse della squadra finiranno per diventare fragilità.

A prescindere dal silenzio stampa.

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