Ricordi di Gianluca Capecci: “I tifosi al Ballarin facevano tutt’uno con la squadra”

Tramandare di padre in figlio la passione per la squadra della propria città è una pratica che rischia di scomparire, avvilita dai continui fallimenti e dal cambiamento irreversibile che sembra investire questo sport.
Il nostro viaggio inizia con Gianluca Capecci, che tra ricordi indelebili e immagini emozionanti racconta la sua vita rossoblù.

Qual è il tuo primo ricordo legato alla Samb?

“La mia prima esperienza è stata piuttosto tardiva perché figlio di genitori apprensivi. Il 17 febbraio 1980, avevo 8 anni, mio padre decide di darmi l’imprinting del Ballarin, preoccupato forse che il mio vicino di banco a scuola, da “immigrato” ascolano, potesse contagiarmi. La Samb, nonostante un girone d’andata disastroso, passa di mano e con Bergamasco si rende protagonista di una serie esaltante di vittorie casalinghe. In una cornice di pubblico fantastica quella domenica battiamo il Bari 2-1″

Curva sud del Ballarin in un Samb-Bari del 1980.

Curva sud del Ballarin in un Samb-Bari del 1980

Ricordo bene il tragitto casa-stadio, quando mio padre, tifoso moderato, mi istruisce che noi siamo tifosi della Samb e che l’avversario si chiama Bari. Sapevo poco di calcio ma non dimentico che passai mentalmente in rassegna le figurine Panini per ritrovare quella del Bari.

Ho l’immagine del fiume di persone che si avviavano silenziose e concentrate verso il campo. Proprio lì, prima della partita, capii subito che la gente al Ballarin faceva tutt’uno con la squadra. Ricordo pochissimo lo svolgimento della gara. Piuttosto chiara l’immagine di Tacconi, poi un giocatore che s’involava insistentemente sulla destra, rapido e sicuro, credo fosse Ripa. Ricordo un tifoso barese assatanato tipo Lino Banfi che si arrampicava sulla rete e faceva un gran casino col suo ombrello. Al gol loro scartò un panino gigantesco tutto soddisfatto. Io, attaccato alla rete di ferro, come tutti i bambini dell’epoca, continuavo a sgranocchiarmi i mitici bruscolini super salati che vendevano allo stadio. Alla fine ce ne tornammo a casa contenti e felici della vittoria. Tutto iniziò quel giorno per me”

Qual è la scaramanzia più curiosa di cui sei stato protagonista o che hai osservato nella tua vita da tifoso?

“Mi sono dilungato molto sulla prima domanda  quindi stavolta sarò conciso. Come gesto supertizioso ho l’immagine indelebile di Beccio al Riviera mentre cosparge l’erba di sale. Doveva trattarsi del 1987-88. Indimenticabile”

Il primo coro che insegneresti ad un neo tifoso rossoblù?

“Di cori ce ne sono tanti ma avendo vissuto sempre il mio essere tifoso rossoblu in contrasto con i colori bianconeri voglio rimarcare quello che termina con “canta insieme alla curva, e canta insieme agli ultrà: picchio….”.
E’ secco e rende l’dea. Bisogna conservare il senso del derby. Le suorine del politicamente corretto disprezzano il provincialimo nel calcio. Secondo me invece è parte integrante. Anche il semplice “noi siamo quelli della nord” evoca bei ricordi”

Qual è il rito, l’usanza, l’abitudine domenicale legata allo stadio che si è persa col tempo e di cui senti maggiore nostalgia?

“Il rituale di recarsi allo stadio con l’abito buono della domenica mi manca. E’ una cosa che si perde nei primi anni 80 ed è un peccato perchè lo stadio, la domenica, era un rito sacro. Il calcio si viveva allo stadio intensamente, alla tv c’era solo 90 minuto. Tanti simboli, emozioni, l’evasione dalla vita di tutti i giorni meritano un abbigliamento consono e importante”

La partita, escluso ovviamente il derby, che non vedi l’ora di rivivere?

“Questa domanda è molto tosta e in genere non mi decido. Mi piacerebbe rivivere Samb-Lazio, che ho già vissuto 2-3 volte. Sono quelle partite nelle quali ti senti chiamato all’impresa. Sono esaltanti un po’ come lo scontro Davide contro Golìa”

All star rossoblù: il migliore 11 di tutti i tempi della Samb?

“Il migliore 11 di tutti i tempi è quello che non ho vissuto ma quello che mi è stato tramandato dagli anziani quando ero ancora un ragazzino (e sì che ho ammirato, di persona Turrini, Selvaggi, Borgonovo, Zenga, Tacconi eccetera9 alcuni erano campioni e si vedeva. C’è stato un periodo in cui la Samb, società che aveva pochi mezzi, i giocatori se li doveva “fabbricare” da sola; San Benedetto era un centro di 25000 abitanti, non c’erano denari, nè industriali ricchi,ma calcisticamente la nostra città se la giocava alla pari con società e città ben più blasonate

Una cosa del genere perché?

“Perchè la Samb era la “provincialissima”, c’era tanta passione e voglia di calcio genuino. Per rendere omaggio a una di quelle squadre leggendarie, che i ragazzi dovrebbero conoscere, parlo della Samb edizione 1949-50, che praticava un modulo molto offensivo.

Persico-Paci-Palma-Brignone-Palestini IV-Santi-Vanelli-Notti-Gigi Traini-Palestini V-Maruzzella.

Persico-Paci-Palma-Brignone-Palestini IV-Santi-Vanelli-Notti-Gigi Traini-Palestini V-Maruzzella.

Squadra dimenticata, vincente, imbattibile in casa (quel collettivo perse sì e no 3-4 gare casalinghe in 5 anni) nonchè vicinissima alla promozione in B. Da collezionista incallito di ciò che riguarda la Samb mi sento in dovere di commemorarla: Persico-Paci-Palma-Brignone-Palestini IV-Santi-Vanelli-Notti-Gigi Traini-Palestini V-Maruzzella. E’ la Samb che i vecchi ricordavano orgogliosamente a memoria perchè sapevano che molti di quei ragazzi erano sambenedettesi come loro. Ce li facevamo in casa i campioncini. Fu un periodo esaltante. Onore a loro quindi!”

La foto: quella che non ti stancheresti mai di vedere, che ogni volta strappa un sorriso, quella che ogni giovane innamorato di Samb dovrebbe ammirare per rendersi conto di cosa sia la Samb per la sua gente.

“Per la foto è semplice. Consentimi di insistere con foto antiche: è giusto che i giovani le guardino, perchè significative. Molti mi conoscono per essere un tifoso che tiene molto alla conservazione della memoria e della tradizione. Siamo sempre nel vecchio Ballarin, “la fossa dei Leoni”, 1950; c’è tanto pubblico sulle gradinate ma soprattutto tanti bambini (forse anche mio padre) che portano un cappello da muratore, ricavato dal giornale sportivo “stadio”. Quella foto, tratta da un libro di Remo Croci, per me racconta la nostra passione e la passione universale per il calcio più di mille parole…”

Fossa dei Leoni, 1950

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