Le nevrosi nel calcio: il dodicesimo uomo in campo

La motivazione, l’ambiente, il tifo.  Come reagiscono i calciatori in base al calore del pubblico? 


Il pubblico assume ruoli e significati diversi in base a come viene percepito dal giocatore. La sua presenza facilita la prestazione se il giocatore lo vive come un’entità con cui condividere le sue sensazioni in campo, le sue emozioni. In questo caso il pubblico assume il ruolo di un compagno di squadra capace di comprendere ciò che prova il giocatore: sorreggerlo e di spronarlo nei momenti di difficoltà, esprimergli fiducia anche se sta perdendo, spingerlo a superare sé stesso, gratificarlo per una buona azione di gioco, applaudirlo per l’impegno e non solo per il risultato. Il giocatore vive il pubblico come una parte di sé da cui attingere carica, grinta, energia: tra lui e il pubblico è come se non ci fosse distacco ma continuità.

Riproponendo le parole di un tennista galvanizzato dalla presenza e dal supporto di chi lo incitava: “Il pubblico mi pareva l’estensione di me stesso che mi aiutava a raggiungere il mio obiettivo, a realizzare il mio desiderio di vincere”.

In altri casi, invece, la presenza del pubblico suscita sensazioni di inibizione, di tensione, di incapacità a giocare come si è in grado di fare. Anche se, a livello cosciente, la presenza del pubblico “a favore” è molto gradita, a livello profondo può svolgere l’effetto contrario, in quanto può essere percepito come un’entità che giudica, che pretende, più pronta alla critica che al sostegno, dunque più “avversaria” che “alleata”.

In questa ottica non stupisce più l’incapacità di giocare bene e di ottenere risultati al di sotto del proprio standard davanti al proprio pubblico. Abbiamo testimonianze di atleti che ci descrivono come il sentire il tifo delle persone che si erano sobbarcate un lungo viaggio per vederli vincere causavano una reazione di blocco, fino e sentirsi incapaci di dare il meglio nel momento in cui  avrebbero voluto maggiormente essere all’altezza della situazione per ripagare i propri supporters.

Di fronte alla stessa situazione le reazioni (e di conseguenza le prestazioni) del giocatore possono dunque essere opposte perché condizionate da vissuti interni profondi e sconosciuti, dunque non gestibili razionalmente. Questo è certamente più frequente in sport individuali, ma anche nel calcio ci sono degli esempi, nonostante lo spirito di squadra e il differente clima che si instaura all’interno di un gruppo generalmente abbatta certi tipi di tensione.

Ci sono atleti che non reggono piazze molto esuberanti, ma gran parte di essi quando incontra un ambiente particolarmente caloroso, dove il tifo risulta essere il cosiddetto “dodicesimo uomo in campo”, non riesce più a farne a meno. Nel caso specifico della storia della Sambenedettese, risulta peculiare il rapporto tra i giocatori e lo stadio Ballarin, teatro dei maggiori successi dei rossoblu. Bruno Ranieri, uno dei giocatori più rappresentativi e protagonista nella promozione in B della stagione 1980-81, ricorda a tal proposito: “Il Ballarin era la nostra casa, la nostra trappola: i giocatori sentivano e toccavano (nel vero senso della parola) l’umore del pubblico, e i tifosi sentivano e toccavano il nostro sudore e le nostre emozioni. Il pubblico scendeva in campo insieme a noi e in casa lasciavamo pochi punti agli avversari”. Non si trattava più di un semplice evento sportivo, ma di un fatto sociale, la loro vicinanza fisica costituiva un sostegno straordinario e quel clima oggi irripetibile è ancora oggi oggetto di nostalgia.

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