Lega Procameron: la Serie C al tempo del Coronavirus

Lega Pro - Coronavirus

Sambenedettese e non solo: quattro novelle sulla Lega Pro al tempo del Coronavirus


La compassione per i tifosi afflitti è un sentimento naturale, e per quanto sia opportuno chiederlo a tutti, si chiede maggiormente a coloro che tifano a loro volta una squadra; se c’è mai stato qualcuno che ha avuto bisogno di conforto, che l’ha chiesto o ne ha tratto piacere, io sono uno di quelli. Essendo legato a squadra nobile e tragica come la Sambenedettese, ho sofferto molto; non tanto per i risultati, ma per le speranze spesso irrazionali con cui l’ho sempre guardata. Il tifo è per sua natura incontentabile, e finisce sempre col portare poca gioia e tanto dolore. In questa sofferenza mi diedero molto sollievo le parole dei miei compagni di sventura, le loro lodevoli consolazioni; se non fosse stato per loro, probabilmente sarei morto; o peggio, tifoso di una squadra che vince sempre come la Juventus.

Nel frattempo la nostra avventura in Lega Pro, che sembrava destinata a durare per sempre, è stata indefinitamente interrotta causa Coronavirus. Ora che il campionato è indefinitamente sospeso, e con esso l’ansia dei risultati, la serenità iniziale sembra essersi trasformata in una noia ottundente. La pena del campionato è passata, ma non dimentico il passato, né il conforto ricevuto dai compagni tifosi in questa perenne sofferenza. Ora che sono libero, mi sono proposto di restituire quanto ricevuto ai miei compagni di sciagura. Il Coronavirus ci sta togliendo tutto: ristoranti, cinema, concerti; ma chi può negare, in questo momento, che sono i tifosi senza partite ad aver maggior bisogno di conforto?

I non tifosi, se sono afflitti da noia o tristezza, hanno molti modi per scacciarla: possono sempre andare al corso, cavalcare, guardare programmi tv, giocare a ramino, scrollare i social o far di commercio, e attraverso queste distrazioni hanno modo di distrarsi dall’infezione, e rendersi conto che a dirla tutta neanche c’è. Ai tifosi, invece, non è rimasto praticamente niente. Spero dunque di rimediare agli inciampi della sorte, la quale è stata più avara nell’aiuto proprio dove c’era meno forza. Ovviamente mi riferisco ai tifosi delle squadre in Serie C: agli altri basta accendere la televisione, perché le grandi continuano a giocare a porte chiuse, e son visibili su Dazn, Sky e (forse) addirittura Tv8.

Con questo intendo presentarvi quattro novelle, o favole, o parabole, o storie, che dir si voglia, raccontate in quattro giornate da una onesta brigata di quattro giornalisti provenienti da San Benedetto, Rimini, Pesaro e Piacenza, riunitisi durante la sosta forzata della pestilenza.


A San Benedetto nessuno voleva più giocare

Comincia la prima giornata del Lega Procameron, nella quale, sotto il reggimento di Angelo Andrea Pisani, si spiega perché a San Benedetto tutte le catastrofi finiscano per essere sempre gravi, e mai serie.

Quando si inizia qualcosa, è convenevole iniziare sempre in modo positivo; dovendo io cominciare, intendo raccontarvi una storia a lieto fine. Tutti sapete della situazione della Sambenedettese, una squadra così in crisi da accettare il rinvio del campionato come una piccola liberazione. All’annuncio della Lega i nostri non vincevano una partita da inizio gennaio, e venivano da una striscia di 2 punti in sei partite. Dopo aver messo in fila delusioni su delusioni, una piccola sosta non poteva far male.

Dopo dieci giorni di silenzio, il primo a parlare è Pietro Fusco, che guarda al rinvio con positività: «L’allenatore e il suo staff hanno già preparato un nuovo programma per gli allenamenti, sfrutteremo questi giorni senza gare per recuperare al meglio gli infortunati e le forze fisiche e mentali di tutti». Fedeli è dello stesso avviso: «Nulla è più importante della salute, in questi casi il calcio passa naturalmente in secondo piano».

La Sambenedettese salta le partite con Piacenza, Cesena e Virtus Verona. Il 4 marzo, a pochi giorni dalla partita col Padova, la società informa la Lega di non avere intenzione di scendere in campo: «Il veneto è una delle regioni più colpite dal virus – si legge nel comunicato – e Padova non fa eccezione; non vogliamo compromettere la salute di nessuno». Il comunicato è un fulmine a ciel sereno: la Lega, disorientata, decide di prendere tempo, il Padova protesta a gran voce, la piazza rossoblu si spacca in due.

Dopo una telefonata con Ghirelli, il presidente Fedeli – forte dell’appoggio del governatore Ceriscioli, che nel frattempo aveva già bloccato Vis Pesaro-Fano – riesce a strappare il rinvio della partita. Il ministro Boccia è una furia: «Ceriscioli rischia di fare danni inenarrabili, perché? Per fare il John Wayne per qualche giorno? La Lega Pro prenda provvedimenti».

Boccia vs Samb

Nel frattempo la Sambenedettese va avanti per la sua strada, allenandosi a porte chiuse e comunicando solo tramite il proprio sito internet. Il 9 marzo, con un altro comunicato stampa, la società annuncia la sua intenzione di disertare la partita di Piacenza, data la vicinanza dello stadio a Codogno, il primo focolaio del Coronavirus. Stesso discorso pochi giorni dopo, in occasione della trasferta di Vicenza. Questi ultimi rifiuti fanno ancora più effetto: è il 15 marzo, la Sambenedettese non gioca ormai da un mese, e la Lega Pro non ha ancora deciso se dare o no la sconfitta a tavolino.

La notizia inizia a fare il giro dei giornali: Umberto Zapelloni pubblica un duro editoriale sulla Gazzetta dello Sport, accusando la Sambenedettese di condotta antisportiva; Ivan Zazzaroni pubblica un profilo del presidente Fedeli sul Corriere dello Sport, applaudendone “l’amore per la sua gente e lo spirito rivoluzionario”. Sulla questione interviene anche il ministro Spadafora, che arriva al punto di minacciare l’esclusione della Sambenedettese dal campionato: «La sicurezza di tutti è la priorità, ma non c’è spazio per queste decisioni unilaterali. Se non vuole partecipare prenderemo le nostre decisioni».

Le dichiarazioni spaccano l’opinione pubblica: due giorni dopo il deputato sambenedettese Giorgio Fede (M5S) fa un’interrogazione parlamentare per chiedere spiegazioni a Spadafora, facendo esplodere nuove voci sulla possibile rottura del governo. La sera stessa, a Fuori dal Coro, Salvini entra a gamba tesa sulla questione: «Questo Governo dimostra ancora una volta di pensare solo agli interessi dei poteri forti, a scapito dei cittadini italiani. Io sono al fianco della gente di San Benedetto, che giustamente vuole cautelarsi da questo brutto male. Magari qualcuno dirà che sono io il cattivo, perché magari è dalla parte del Coronavirus».

Salvini Samb

Nel frattempo San Benedetto è sull’orlo della guerra civile: la stampa locale non sa più dove sbattere la testa, le trasmissioni sportive si riducono a mostrare repliche di repliche di repliche, i tifosi rimasti dalla parte della società sono sempre meno e sempre meno convinti. Gli unici a non mollare sono i tifosi della Curva Nord, che in assenza di partite hanno preso l’abitudine di raccogliersi tutte le domeniche sotto lo stadio, come in una specie di rito laico, per cantare cori alla squadra rossoblu.

Nel frattempo iniziano a svilupparsi nuove teorie del complotto: Fedeli vuole bloccare il campionato per non perdere soldi; Palma è germofobico; tutti i giocatori sono già malati; Montero è scappato in Uruguay senza avvertire… Per evitare ulteriore caos, la società decide di indire una conferenza stampa. A intervenire è proprio Paolo Montero, che torna a parlare ai giornalisti dopo quasi un mese e mezzo di silenzio.

Il suo arrivo in sala stampa, mascherato, sembra quasi uno scherzo. Non lo è la conferenza: «Noi abbiamo preso molto sul serio questa emergenza, e la nostra priorità è quella di giocare in sicurezza, tranquilli. Se non sei tranquillo come puoi giocare a calcio? Due settimane fa hanno rinviato Juventus-Inter, non capisco perché non si possano rinviare le partite della Sambenedettese. Altra categoria, è vero, ma non ci devono essere malati di Serie A, Serie B o Serie C». Quando si propone l’eventualità del giocare a porte chiuse, Montero è perentorio: «Noi giochiamo solo per i nostri tifosi, senza di loro non ha senso fare le partite. La Lega pensa di usarci per fare lo spettacolino, ma noi rispondiamo solo al nostro pubblico».

Montero Samb Coronavirus

La conferenza del mister tocca le corde giuste, riavvicinando i tifosi alla squadra e compattando l’ambiente. La stampa locale nicchia, ma alla fine è ben contenta di concentrarsi solo sui retroscena e i litigi col governo; per venirle incontro la società decide di riprendere le conferenze stampa del sabato, che continuano a proseguire con le solite domande e le solite risposte, anche se non ci sono più partite. Nel frattempo, la governance della Lega Pro (su pressione di diverse parti politiche) accetta anche il rinvio delle gare con Cesena e Reggio Audace, provocando le proteste di mezza Serie C. La guerra di nervi va avanti fino ad inizio aprile, quando viene sintetizzato il nuovo vaccino.

L’11 marzo, quasi due mesi dopo l’ultima gara, la Sambenedettese torna in campo per affrontare l’Imolese. Spinti dai 7 mila del Riviera, accorsi in massa allo stadio dopo la lunga astinenza, i rossoblu vincono la partita con un netto 3 a 0. Stessi numeri e stesso risultato contro la Virtus Verona, nel primo degli otto recuperi che attendono i rossoblu. La Samb sembra tornata la squadra bella ed esaltante di inizio anno, e i 3 mila mini abbonamenti vanno a ruba, ma la domanda che tutti si fanno è una soltanto: come può reggere tutte le partite?

I rossoblu sono attesi da un calendario infernale, che conta due partite ogni tre giorni giusto in tempo per arrivare al primo giugno, l’inizio dei playoff. La Sambenedettese ha il vantaggio di giocarsela contro squadre stanche, o che non hanno più nulla da dire al campionato, in uno stadio che diventa sempre più pieno e più caldo col passare delle partite. Alla fine del campionato riesce a vincere 8 partite su 10, risalendo fino al sesto posto in classifica.

Alla vigilia dei playoff contro la Feralpisalò, in un Riviera che si preannuncia tutto esaurito, Montero butta giù la maschera e racconta un sorriso: «Il calcio è calcio, non c’è mistero: ci serviva tempo per mettere a posto la squadra, l’abbiamo fatto. Domani ci andremo a giocare la partita nel modo migliore possibile».


Rimini ground zero

Finisce la prima giornata del Lega Procameron; incomincia la seconda, nella quale, sotto il reggimento di Gian Marco Porcellini, si ragiona di chi, dal virus infestato, sia riuscito a ritagliarsi un lieto fine.

Come sapete, la sospensione del campionato era arrivata nel peggior momento del Rimini, che nelle ultime settimane stava dimostrando una crescente condizione, sia dal punto di vista atletico che nei propri principi di gioco; la squadra aveva trovato un equilibrio grazie al rombo di centrocampo, ed era reduce da quattro risultati utili consecutivi. L’interruzione del campionato ha lasciato il Rimini un po’ spiazzato: dopo alcuni allenamenti a porte chiuse la società ha deciso di convocare una conferenza stampa a sorpresa.

A parlare è stato solo mister Colella, che – com’era già successo in precedenza – non si capacitava del fatto che tutti i giocatori fossero disponibili, a dispetto degli sforzi del campionato e soprattutto della pandemia. La sua idea era che la squadra non avesse ancora raggiunto un livello di intensità accettabile, e per questo motivo – oltre che per stimolare e temprare la squadra – ha deciso di portare la squadra ad allenarsi a Codogno.

Ricordo ancora le sue parole, sparate con gli occhi fuori dalle orbite: «I ragazzi hanno bisogno di mantenere il contatto con la realtà e di misurarsi con sfide vere che vadano oltre il calcio. Dobbiamo compattarci, aumentare i carichi di lavoro e allenarci in condizioni per cui la partita della domenica sembrerà una passeggiata sul lungomare». La decisione era abbastanza discutibile, ma aveva quel tanto di una retorica populista da spingere la società ad accettare. Da lì in poi è storia nota.

La squadra si trasferisce subito in Lombardia, e per cinque giorni di fila fa visita all’ospedale di Codogno. Ogni mattina inizia con una corsa nelle vie della città, per respirare quella che il mister definisce “l’aria del paese reale”. Nel giro di pochi giorni due giocatori si ammalano, ma la loro assenza non scalfisce Colella: «Perdite dolorose ma necessarie». Nel frattempo la storia viene ripresa anche dai media nazionali: a inizio marzo Colella fa una comparsata da Del Debbio, a Quinta colonna, dove litiga sia con Roberto Burioni che Ilaria Capua.

Colella Coronavirus

Alle critiche dei due, che definiscono la scelta come una specie di suicidio, Colella risponde riprendendo “Sere Nere” di Tiziano Ferro: «Se il corona non ti uccide, fortifica». La mossa incendia il pubblico e la rete, estasiata dal personaggio. Al rientro in campo, però, il Rimini viene travolto 2-5 da una Reggiana carica a pallettoni.Una prestazione sconcertante: il Rimini sembrava disorientato e affaticato, e dopo il fischio finale tutta Italia ha iniziato a chiedere l’esonero di Colella, soprannominato mister Coronavirus.

Su change.org scatta puntuale la petizione per allontanare il tecnico, che invece rimane al suo posto. «Piuttosto vendo la Grabo», ruggisce Grassi. La settimana dopo arriva il primo successo esterno dell’anno, un convincente 2-0 in casa della Fermana. L’uomo copertina è Candido, che non scendeva in campo da novembre a causa di un problema alla vista. Il Rimini trova il suo assetto definitivo: Candido e Cigliano alle spalle di Mendicino, con Arlotti, Letizia e Gerardi pronti a entrare a partita in corso.

È la genesi della Men-Ci-Ca, a cui la curva est dedica il coro “Salaga dula Men-Ci-Ca bula bibbidi bobbidi bu/fanno quei tre tutto quel che vuoi tu/bibbidi bobbidi du”. Da lì in poi il Rimini costruisce una striscia di 8 risultati utili, uscendo addirittura dalla zona play-out. La squadra gioca e convince, ma la vittoria più “rumorosa” è il 3-0 a tavolino contro una certa squadra, troppo spaventata dalle notizie su un peggioramento dei giocatori malati del Rimini, che poi si riveleranno infondate. I biancorossi vengono ribattezzati “Coronavirus FC” o “la squadra degli untori”, un soprannome che innesca un complesso di accerchiamento da cui il gruppo trae ulteriori motivazioni per dimostrare il proprio valore.

Colella Coronavirus

Colella diventa una delle figure più iconiche e divisive d’Italia: la rivista on line L’Ultimo Uomo gli dedica un approfondimento in cui racconta il personaggio e analizza il suo 4-3-1-2, una delle proposte di gioco più raffinate ed efficaci della Lega Pro; Fabio Caressa lo invita allo Sky Calcio Club, mentre la vice presidente del senato Paola Taverna invece riprende l’idea del ritiro a Codogno per rilanciare la propria teoria sui contagi di massa.

Sul più bello però il Rimini perde il derby col Ravenna, nonostante una partita dominata in lungo e in largo, esattamente come all’andata; non vi racconto il giubilo dei tanti detrattori, che continueranno a condannare quelle “scellerate visite all’ospedale di Codogno”. Questo clima ostile, però, si trasforma nella benzina con cui incendiare una squadra trascinata nelle ultime partite dai due gol decisivi di Codromaz, il cardine della difesa, che all’ultima giornata segna il gol salvezza contro la Triestina, il club proprietario del suo cartellino.

È il trionfo di un Rimini che si salva malgrado avesse chiuso il 2019 all’ultimo posto, è il trionfo di Colella, corteggiato da mezza serie B. Questi a fine stagione si confessa in una lunga intervista al podcast “Rimini Pod“: «Non sono un coglione, ero consapevole di ciò che stavo facendo: i ragazzi godevano tutti di ottima salute e la protezione civile mi aveva assicurato che l’ospedale non era la bomba batteriologica che i media andavano ripetendo, bensì un luogo più sicuro di tanti centri di aggregazione. Mi sono mosso in questa maniera perché avevo bisogno di crearmi un nemico esterno più grande del calcio. Sono riuscito a smobilitare mezza opinione pubblica, che ci ha fatto la guerra per quattro mesi. Noi ci siamo salvati, la squadra sta bene e loro rosicano. Direi che ho vinto su tutta la linea, no?».


Piacenza è sempre stata infetta

Finisce la seconda giornata del Lega Procameron; incomincia la terza, nella quale, sotto il reggimento di Carlofilippo Vardelli, si ragiona di chi dopo tanto timore ha deciso di lasciarsi guidare dal caos.

Tutti sapete del Piacenza calcio: una formazione che aveva iniziato l’annata per provare il grande salto, trovatasi già a gennaio alla deriva, ridimensionata al punto da dover delegare ad altri i prossimi mesi della propria vita. Ma poi tutto è cambiato. Com’è noto, il focolaio del Coronavirus è stato nella cittadina di Codogno, una cittadina a meno di 20km da Piacenza. Quello che non tutti sanno è che il virus si annidava all’ombra di Palazzo Gotico già da settembre.

L’annata sportiva è partita dalla riconferma di Franzini e dal ritorno di Cacia, il figliol prodigo. Con questa coppia in canna, il vice-presidente Roberto Pighi si lasciò andare ad un “vogliamo la Serie B” molto più cauto del dovuto. Nel parlare ebbe ben cura di non aprire troppo la bocca, né di emetter saliva, per non infettare gli astanti con cinque mesi e mezzo di anticipo. Avete inteso bene: il coronavirus non è nato in Cina, ma a Piacenza.

Il primo ad aver portato la malattia, il malato zero, vestiva la 9 e si chiamava L. P. In estate erano arrivati anche Paponi, Giadonato, Cattaneo, Zappella, Imperiale, Milesi e Del Favero, untori di quel calcio giochista che, come sappiamo tutti, non porta ad alcun tipo risultato. Non a caso l’esperimento è durato veramente poco. Come un amore estivo, o un virus senza portatori attivi.

Dopo una partenza di stagione molto articolata, i biancorossi sono calati: la squadra di Franzini giocava benissimo con le big, malissimo con le piccole. I giornali provano ad ipotizzare qualche analisi tattica, sottolineando la mancanza di un gioco offensivo ben strutturato, problemi nella gestione del ritmo ed eccessivo crossing game; ma la realtà delle cose non lotta con questi tecnicismi. La verità è che Piacenza non rinunciava al gioco per scelta, ma per dovere. Tenere il pallone avrebbe obbligato gli avversari a pressare, e questo avrebbe dimezzato la distanza fisica tra i giocatori, aumentando le possibilità di contagio; lanciare la palla lunga, andare in contropiede o crossare in aree semivuote risolveva tutto.

Franzini Coronavirus

Franzini durante un allenamento del Piacenza

Stesso discorso per la fase di non possesso. Con un blocco difensivo basso, ma non imperforabile, si diminuiva radicalmente il rischio di contatto con gli avversari. Nelle situazioni peggiori, i difensori erano istruiti di lasciar passare. Una scelta che è costata tanti gol, ma anche poche infezioni.

Tutto è cambiato con la partenza di Daniele Cacia. L’ex numero 9 non aveva litigato con nessuno, ma aveva deciso di partire con un altro obiettivo: infettare la Serie B. Indebolire gli avversari, prendere un contratto e superare il record di Schwoch, in modo da guadagnarsi lo scettro dei goleador in cadetteria. Ma il calcio, come certo saprete, è un mondo crudele. La voce del Coronavirus aveva già preso piede, e i diesse non hanno voluto correre il rischio di approfondire. Ora Cacia vaga senz’anima in una spiaggia a Copacabana. È guarito, e sicuramente sta meglio di noi. Ogni tanto gioca a pallone in spiaggia, segnandosi tutti i gol.

Cacia Piacenza

Dopo l’abbandono del bomber, tutto è crollato. Per sviluppare gli anticorpi i tifosi dovevano andare a più partite possibili, ma i problemi di classifica hanno spinto molti a disertare: così il virus si è allargato, portando un po’ tutti nel panico. Perso il controllo, il Piacenza ha deciso di iniziare la sua manovra suicida.

Nelle prime partite del 2020 gli uomini di Franzini avevano iniziato a marcare a uomo su corner, mentre Paponi e Pergreffi, col pretesto di un accordo, avevano fatto colloqui con decine di diesse in tutta la Serie C. Il Piacenza la sta facendo franca perché non ha responsabilità oggettiva nella diffusione della malattia. Sembra anzi che la colpa sia stata scaricata ai danni di El Kaouakibi e Giandonato, finiti alla Pianese e all’Olbia. Poveracci.

Con la sosta dalla loro parte, Franzini e soci hanno allenato la squadra in gran segreto, costruendo un nuovo modulo per soverchiare il banco di un campionato in preda all’isteria. Pare addirittura col consiglio di Lele Adani, arrivato al Garilli con una macchina dai vetri oscurati su richiesta di Franzini. Nella prima partita dopo la sosta il Piacenza è sceso in campo con una 3-3-1-3 di matrice bielsista, e tutto è cambiato.

In un colpo i biancorossi hanno cominciato a passare per vie centrali, eliminando dal campo sia i terzini che la loro lunga e incessante sequela di cross in mezzo, simbolo di una squadra troppo impegnata a limitare il virus invece che di pensare calcio. Dopo mesi col freno a mano tirato il Piacenza ha iniziato a giocare a cento all’ora, trasformandosi in una squadra iper-cinetica e verticale. Gli avversari, ancora traumatizzati dalla paura della malattia, non sono più riusciti a fermarli. Nell’ultima parte del campionato Nicco e Della Latta sembravano Lampard e Gerrard, mentre Paponi una specie di Pruzzo più prolifico. Alla fine il Piacenza è riuscito a vincere il campionato e guadagnarsi la promozione, lasciandosi alle spalle sia la maledetta malattia che la maledettissima Serie C.


Alma Juventus Fano e Vis Pesaro, le marche infette

Finisce la terza giornata del Lega Procameron; incomincia la quarta, nella quale, sotto il reggimento di Federico Principi, si ragiona di coloro i cui derby ebbero infelice proseguimento, e sperano aver presto conclusione.

Come sapete, Vis Pesaro e Alma Juventus Fano sono due squadre dalla forte rivalità sportiva, più intensa di tanti derby cittadini, ma hanno anche molto in comune: entrambe sono nella provincia di Pesaro e Urbino, ad esempio, ed entrambe si affacciano nel mare Adriatico. I punti di contatto sono anche dal punto di vista sportivo: entrambe le squadre sono ancora novizie della Serie C, ed entrambe, da due anni ormai, sono diventate società satellite di altre squadre. La Vis Pesaro è legata alla Sampdoria, il Fano è passato sotto l’egida dell’Ascoli dopo il Pescara.

Le squadre maggiori forniscono loro supporto tecnico, giovani calciatori e sostegno economico. E come tutti i club che si appoggiano ad altre realtà ne assorbono anche sia i benefici che i problemi, dovendo sottostare alla programmazione della società madre.

Ed è per questo motivo che mi trovo a rivelare quello che per ragioni opportunistiche è stato taciuto fin adesso. Poco prima di Natale, uno sponsor cinese – produttore di elettrodomestici di ultima generazione – ha deciso di investire sia sull’Ascoli che sulla Sampdoria, concedendo a Fano e Vis Pesaro l’opportunità e il budget per una preparazione atletica in Cina in gran segreto durante le feste. Il risultato lo potete facilmente immaginare: tutti i componenti della società, della rosa e dello staff tecnico di Fano e Vis Pesaro hanno contratto il coronavirus. Per loro fortuna, e scorno di altri, sono riusciti a rientrare in Italia prima che scoppiasse il caso mondiale.

La Vis Pesaro allo stadio Jinzhou

Ovviamente la reale situazione non poteva venire a galla per diverse ragioni: le tifoserie, grandi rivali, non potevano accettare che Fano e Vis condividessero lo stesso campo di allenamento in fasce orarie limitrofe; lo sponsor, che era uscito allo scoperto prima del ritiro, è rimasto in incognito per non subire un danno di immagine; il governatore della Regione Luca Ceriscioli, ora è così preoccupato da andare direttamente contro il Governo. A quanto pare il governatore ha passato gli ultimi giorni di gennaio facendo la spola tra la sua Pesaro e Fano, per spiegare alle due società come comportarsi per evitare il propagarsi della crisi.

La Lega Pro, una volta messa al corrente, ha deciso di non rimandare le partite delle due squadre, ma ha preferito insabbiare tutto, concentrandosi nel supporto tecnico e medico, nel tentativo di evitare maggiori complicazioni.

Ceriscioli - Fano

La squadra che ne ha fatto maggiormente le spese in realtà è stata la Sambenedettese, che nel giro di quattro giorni ha affrontato Vis Pesaro e Fano: sono stati contagiati quasi tutti i giocatori, e non è un caso che da lì in poi i risultati siano crollati. Il silenzio stampa dopo la sconfitta di Ravenna è stato chiesto da Ghirelli in persona, che ha convinto la Sambenedettese a non fare la conferenza per evitare il diffondersi della malattia.

Nel frattempo Fano e Vis Pesaro non se la sono passata meglio. Dopo le rispettive vittorie con Samb e Padova hanno giocato 11 partite in due, senza mai vincere. Nel frattempo la convalescenza ha fatto perdere loro tanti giocatori chiave: il Fano ha perso Di Sabatino, De Vito e Boccioletti, sostituiti da Zigrossi (che non era andato al ritiro) e Cargnelutti (arrivato a gennaio); la Vis Pesaro ha dovuto fare a meno di Puggioni, messo fuori poco prima di Vis Pesaro-Vicenza per un fantomatico problema muscolare (anche se nel riscaldamento aveva fatto un gran volo plastico). Per sostituirlo la Vis non si è affidata a Bianchini, anche lui malato, ma ha messo dentro Serraiocco, pescato a febbraio dal mercato svincolati.

Il derby scioglierà i nodi su chi avrà smaltito meglio la convalescenza. La Vis ha vinto gli ultimi due derby, e nelle ultime due stagioni non ha mai subito gol dal Fano. All’andata i granata hanno fatto registrare il record stagionale di possesso palla (74,4%), ma ha anche messo a segno la peggiore produzione offensiva della stagione (0,32 xG complessivi). Stavolta il derby arriverà l’8 marzo, Coronavirus permettendo, un po’ anticipato rispetto a quello di aprile dello scorso anno, che segnò la retrocessione sul campo del Fano. Dopo questa lunga e dolorosa esperienza, Fano e Vis Pesaro arriveranno al derby salvezza ormai guarite e senza più alibi, la condizione migliore per provare ad esprimere il loro miglior calcio possibile.

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