La sconfitta dei rossoblu è stata decisa da alcuni dettagli, e ha dimostrato cosa manca alla Samb per vincere queste partite. L’analisi tattica di Samb-Padova.
Comunque la si pensi, l’inizio dell’anno dei rossoblu è stato tutt’altro che semplice. Una settimana dopo la bella vittoria di Salò i rossoblu erano attesi da un’altra avversaria complicata, il Padova, in una delle tante partite a cui si era data l’etichetta di “prova di maturità”, nonostante fosse ormai l’ultima giornata del girone di andata, e di prove di maturità ce n’erano state almeno una mezza dozzina. In ogni caso l’occasione era ghiotta: i rossoblu arrivavano alla sfida a 3 punti di distanza dal Padova e a 6 dalla testa del girone, e con una vittoria avrebbero potuto tenere il passo delle prime in classifica.
La squadra di Zironelli arrivava alla partita con alcune assenze pesanti, su tutte quella di Botta, a cui si aggiungeva anche quella del suo sostituto naturale, Bacio Terracino. La contemporanea assenza di D’Angelo aveva accorciato la coperta anche a centrocampo, ma Zironelli aveva comunque deciso di tornare al 3-5-2, con Nocciolini e Lescano in attacco e Rocchi mezzala sinistra. Una scelta che, oltre a dare maggior copertura, permetteva al tecnico di avere un cambio offensivo di livello come Maxi Lopez in panchina.
Dall’altra parte le scelte di Mandorlini erano sicuramente meno obbligate: il tecnico biancoscudato doveva fare a meno di Hallfredsson, ma recuperava Nicastro e poteva contare sui nuovi arrivi del mercato invernale, Biasci e Rossettini. Quest’ultimo era l’unica vera novità di un indici che per il resto era quello delle ultime settimane, con Jelenic e Bifulco ai fianchi di Paponi in attacco, e Hraiech a completare il centrocampo insieme a Della Latta e Ronaldo.
Il centrocampo del Padova era uno dei principali crucci di Zironelli, che in fase di non possesso ha chiesto ai suoi centrocampisti di giocare a uomo sugli avversari di reparto: Hraiech e Della Latta venivano seguiti da Rocchi e Shaka, mentre Ronaldo veniva preso in consegna addirittura da Angiulli, che si alzava fino alla trequarti avversaria.
L’idea, probabilmente, era quella di togliere riferimenti al Padova, per tenere alta la squadra e provare a recuperare palla più in alto possibile. Questa intenzione si era vista anche nell’aggressività dei due laterali, Masini e Trillò, che a inizio gara si alzavano sui terzini avversari anche a costo di lasciare il centrale alle loro spalle in situazione di uno contro uno.
La prima occasione della gara arriva proprio su un recupero alto della squadra, in una situazione in cui Masini va in pressione su Curcio, mentre Angiulli, Rocchi e Shaka coprono i tre centrocampisti del Padova. La pressione induce Ronaldo all’errore, e permette alla Samb di andare al tiro con Nocciolini.
I rossoblu non sono però riusciti a mantenere l’atteggiamento aggressivo di inizio gara, complice l’inizio molto intraprendente del Padova, che sin dai primi minuti ha preso controllo della gara, pressando alto e sfruttando la superiorità tecnica, oltre che fisica, dei suoi giocatori offensivi. Dopo i primi minuti la Sambenedettese ha iniziato a perdere le distanze: i due laterali hanno iniziato a stazionare più bassi, per paura di lasciare troppo spazio alle loro spalle, e i tre centrocampisti si sono trovati a dover coprire un campo molto più largo, con le due mezzali (in particolare Shaka Mawuli, sul lato di Curcio) costrette a uscire sui terzini.
In questo modo i rossoblu hanno mantenuto superiorità numerica sulla linea difensiva, ma una volta recuperata palla gli unici riferimenti per avanzare velocemente erano i due attaccanti, troppo distanti per essere raggiunti con palloni puliti. Per ripartire la Sambenedettese doveva rallentare per riposizionarsi o cercare il lancio lungo, due situazioni poco ideali, anche se per motivi diversi. In fase di possesso i rossoblu hanno sentito la mancanza di giocatori che sapessero creare situazioni di vantaggio nella zona centrale del campo, un vuoto che in passato – quando erano assenti Botta e Bacio – era stato colmato dall’intelligenza tattica di D’Angelo, l’unica mezzala in organico capace di interpretare al meglio il gioco tra le linee.
Anche per questo motivo la Sambenedettese ha deciso di preferire giocate lunghe e in verticale, anche nelle rimesse dal fondo – nel primo tempo Nobile non ha mai passato la palla corta ai centrali – nonostante i rossoblu concedessero agli avversari sia peso che centimetri. Col senno di poi, un errore. La difficoltà della Samb nel primo tempo si spiega anche e soprattutto con lo scarso impatto sui palloni alti degli unici giocatori sopra il metro e ottanta che potevano andare a ricevere nella metà campo avversaria: Nocciolini, Lescano e Shaka Mawuli.
Nel primo tempo i rossoblu hanno tentato più o meno gli stessi lanci del Padova (23 contro 27), ma rispetto agli avversari ne sono arrivati a destinazione la metà (10 contro 19). Per semplificare, la squadra di Mandorlini arrivava ai compagni il 70% delle volte, mentre la Sambenedettese era a una media dal 43%. Un numero non basta a spiegare una gara, ma può aiutare a capire perché la Samb sia riuscita a risalire solo a tratti e con fatica, mentre il Padova – proprio su un lancio lungo, con la difesa avversaria schierata – sia riuscita a segnare il gol dell’uno a zero.
Dopo lo svantaggio i rossoblu hanno provato a prendere in mano la gara, ma nonostante la maggior intraprendenza i rossoblu hanno dimostrato ancora una volta la mancanza di un giocatore capace di legare i reparti, specie quando Angiulli arretrava in linea coi centrali per gestire la fase di uscita. La presenza di due mezzali come Rocchi e Shaka – giocatori più adatti ad aggredire la linea avversaria, piuttosto che a gestire il possesso – ha messo la Samb in una situazione contraddittoria, perché la squadra usciva male con la palla, e poi non riusciva a portare abbastanza giocatori in area di rigore. Non è un caso che il momento migliore del primo tempo sia arrivato a ridosso dell’intervallo, quando la squadra ha alzato tutto il blocco e ad aiutare la costruzione sono stati i due braccetti, Cristini ed Enrici. Due giocatori poco precisi in rifinitura, ma anche gli unici a mettere palloni in area insieme a Masini.
Nella ripresa Zironelli ha cambiato quanto poteva, cercando di ovviare i problemi in area (e in aria) con un altro giocatore offensivo. L’ingresso di Maxi Lopez per Rocchi avrebbe dovuto dare più peso al reparto offensivo della Samb, aggiungendo un giocatore bravo sia nel gioco spalle alla porta che nella protezione dei palloni lunghi. L’infortunio del centravanti rossoblu, poco dopo il suo ingresso in campo, ha tolto alla Sambenedettese anche questa possibilità, e Zironelli si è trovato a mettere in campo Chacon, che negli ultimi tre mesi aveva giocato soltanto una manciata di minuti.
Nella ripresa la Sambenedettese è riuscita a tenere meglio le distanze tra i reparti, e col passare dei minuti ha iniziato a fare la gara, invitata da un Padova che ha deciso presto di abbassarsi e nel caso ripartire. Nonostante una grande occasione per Paponi i padroni di casa sono stati in controllo, e hanno preso gradualmente coraggio, arrivando a portare anche cinque uomini in area, e attaccando anche coi centrali difensivi.
La mancanza di lucidità nei momenti chiave ha impedito ai rossoblu di creare occasioni pulite, ma la squadra di Zironelli era comunque riuscita a crearsi un’opportunità per il pari al 91esimo minuto, con un bel lancio di Shaka in direzione di Lescano. L’attaccante era riuscito a vincere il duello fisico con Pelagatti e passargli avanti, solo per finire a terra sul contatto successivo. Il mancato fischio dell’arbitro ha spento le ultime speranze dei rossoblu, chiudendo di fatto la partita.
Dopo il fischio finale si è parlato soprattutto di questo episodio, e poco o nulla della partita. Come al solito, la stampa rossoblu si è concentrata nella narrativa più semplice e spendibile: quella del colpevole, interno o esterno, a cui addossare tutta la colpa della sconfitta. In queste ore si parla molto del contatto tra Pelagatti e Lescano, ma la Sambenedettese deve prendere atto che la sconfitta parte dai novanta minuti precedenti. Ai rossoblu mancavano tre giocatori importanti, ma la povertà che queste assenze hanno rivelato – a livello di gioco e di alternative – mostrano a pieno la distanza da una squadra come il Padova, che domenica si è potuta permettere ricambi del livello di Santini e Nicastro, oltre al lusso di lasciare giocatori come Biasci, Beretta, Jefferson e Andelkovic in panchina.
Con la partita di ieri la Sambenedettese ha dimostrato di potersela giocare anche nei momenti peggiori, ma la differenza con le prime della classe passa necessariamente per un miglioramento della squadra, perché a certi livelli sono le alternative, e non solo un fischio dell’arbitro, a segnare la differenza tra vittoria e sconfitta.