Nostro signore dell’ipocrisia

Franco Fedeli, Samb

Per l’ennesima volta, il presidente Fedeli ha trovato il modo di attaccare piazza, stampa e tifoseria. Ha ancora senso difenderlo?


«Così domenica dopo domenica fu una stagione davvero cupa
quel lungo mese della quaresima rise la iena, ululò la lupa,
stelle comete ed altri prodigi facilitarono le conversioni
mulini bianchi tornaron grigi, candidi agnelli certi ex leoni»

Ieri sera, mentre percorreva la solita sfilata per la sala stampa, Franco Fedeli aveva in faccia il sorriso del vincitore. Il 3 a 0 aveva spazzato via un bel po’ di sofferenza, convincendolo a tornare ai microfoni dopo il gran rifiuto di due settimane prima, quando il pareggio con la Virtus Verona l’aveva reso così intrattabile da rinunciare a l’unica cosa a cui non rinuncia mai: i microfoni (si sarebbe rifatto neanche un’ora dopo, al telefono).

Come spesso accade, dopo le vittorie, il presidente rossoblu si è seduto qualche minuto prima di iniziare, reclamando il caffè (servito e miscelato da una persona nello staff) e l’allargamento della platea, in attesa di tutti i giornalisti. Tutto secondo il solito canovaccio, se non fosse che stavolta i soliti malmostosi complimenti alla squadra si sono interrotti quasi subito.

«A San Benedetto sapete fare solo chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere. Fatti zero. Lo vedo anche dal pubblico: oggi con l’incasso non riusciamo neanche a ripagare gli steward… Si dice sempre “Il Riviera delle Palme”, “La fossa dei leoni”, “Il tempio del calcio”… Tutte chiacchiere»

Nel solito profluvio di rabbia, rinfacciamenti e derisioni il presidente rossoblu ha trovato il modo di colpire un po’ tutti: lo sbando della dirigenza, l’inutilità dei giocatori, il remare contro della stampa, la tirchieria della piazza e le chiacchiere della tifoseria. Tante accuse, equamente divise, per tutti tranne uno. Lo stesso che quando c’erano da ricevere applausi e meriti si è sempre messo davanti a tutti.

Franco Fedeli

Nel calcio vale tutto, e diventa anche normale criticare i vuoti di una società che nessuno si è preso la briga di riempire, forse in attesa del figliol prodigo o – più probabilmente – per togliersi il problema di aggiungere altri due stipendi a fine mese. Del resto, spesso i dipendenti non sono stati altro che pedine monouso, pedoni da sacrificare alla prima difficoltà.

Fare una lunga lista di nomi sarebbe impietoso, oltre che molto lungo. Ieri Fedeli ha avuto il tempo di citarne due, per lui positivi: Palladini, costantemente attaccato, delegittimato e isolato fino alle inevitabili dimissioni; e Sanderra, per cui vale più o meno lo stesso discorso. Questo comportamento è lo stesso da anni, nel corso dei quali sono stati fatti fuori dirigenti, collaboratori, tecnici e giocatori: tutti salutati poco cerimoniosamente, quando andava bene, indicati come problema quando andava male.

La proprietà ha sempre cercato altri capri espiatori, e buona parte dell’opinione pubblica non ha fatto altro che appoggiarla, affannandosi a citare i risultati in classifica. Ma i risultati in campo sono solo una parte del lavoro di una società, che invece non ha fatto altro che spostare tutto nel rettangolo verde, dimenticandosi (o cercando di far dimenticare) i tanti errori fatti nell’ambito in andrebbe davvero misurata: la pianificazione a lungo termine.

Negli anni la società ha fatto tante chiacchiere, cambiando gli obiettivi a seconda di come andava il vento, salvo fare marcia indietro nei momenti di bonaccia. I risultati delle ultime stagioni, spesso sbandierati come medaglie di merito, sono gli stessi risultati che hanno fatto infuriare la società durante l’anno, e che l’hanno portata a cambiare sei allenatori, dozzine di giocatori e quattro direttori sportivi.

Franco Fedeli

Fino a qualche settimana fa i fidi scudieri del presidente – membri di spicco di quella stampa che tanto rema contro, a parer suo – ancora parlavano positivamente del “progetto Samb”, che ha portato alla vittoria di un campionato e a tre anni di playoff. Ma quale progetto? Anzi, quale dei tanti progetti?

La “Serie B in tre anni“, auspicata due anni fa, o il “sogno” comparso nella campagna abbonamenti della scorsa stagione? La “linea verde” chiesta da Franco Fedeli o il “miglioramento del terzo posto” proposto dal figlio due settimane dopo?

L’amara verità è che si naviga a vista, e a dimostrarlo sono tante cose: dal calciomercato al risparmio fatto lo scorso gennaio ai due mesi di nulla di questa estate, in cui la società non ha presentato le maglie, non ha presentato gli abbonamenti, e ha fatto fatica a mettere insieme uno straccio di presentazione. Lo dimostrano anche le parole di Fedeli in conferenza, quando – forse già dimentico della linea verde – si è lamentato per la presenza di otto squadre giovanili quando il minimo sindacale erano tre.

«Cinque stipendi in più, cinque iscrizioni in più, cinque materiali da compare»

Discussioni del genere fanno capire la misura di questa società “allo sbando”, che prima lamenta la scarsa affluenza di giovani alla prima squadra e poi si infuria perché ha dovuto comprare i kit a un centinaio di ragazzini (che, tra l’altro, pagano la tassa di iscrizione). C’è chi ragiona in questo modo e chi spende un milione l’anno per il settore giovanile: i risultati non possono essere gli stessi.

E poi c’è il discorso della piazza, tanto spesso accusata di disinteresse e disamore. San Benedetto non ha nulla da dimostrare, e chi tanto spesso è andato a prendere gli applausi dello stadio dovrebbe saperlo in particolar modo. Se il Riviera si sta svuotando non è tanto per i risultati, quanto per la comunicazione di una società che a forza di cercar colpevoli ha alienato la città dalla squadra, creando un distacco che fino a pochi mesi fa non sembrava possibile.

Samb-Piacenza

Il disamore della tifoseria non sta nel decimo posto attuale, ma nelle decine di conferenze in cui il presidente ha storto il naso nelle vittorie e sparato a zero nelle sconfitte; stanno nei tanti proclama fatti all’inizio e durante l’anno nonostante avversari più costosi, più ambiziosi e più forti; stanno negli innumerevoli insulti ai giocatori, trattati come mercenari e bestie da soma; stanno negli esoneri anche inspiegabili di allenatori che avevano fatto stagioni oltre gli obiettivi.

Stanno nei continui ricatti morali contro stampa e tifosi, e in quella testa perennemente girata a guardare gli spettatori della giornata, solo per lamentarsi delle poche presenze allo stadio e il costo degli steward. Stanno infine nel vomitevole comportamento verso alcuni dipendenti, mandati via nel silenzio o dichiarati nemici, incapaci e perdenti, o fatti oggetti di battute di stupro.

Fedeli ha sempre fatto scudo dietro il suo modo di fare “vulcanico”, e tanti sicofanti l’hanno appoggiato parlando di amore e affezione pari a quella della tifoseria. Una narrazione incentivata dallo stesso Fedeli, che lo scorso novembre, in risposta alla lettera della Curva Nord, rispondeva che: «Io sono un po’ come voi, non mi piace perdere mai, e spesso esterno il mio malumore con forza e senza peli sulla lingua».

Ma la Sambenedettese di tifosi ne ha già tanti, molto più fedeli, e nel Fedeli con la maiuscola cercava un presidente e una dirigenza, non un reparto staccato della tifoseria. Nella lettera Fedeli proseguiva dicendo che «questo è passato in secondo piano fino a quando i risultati sono stati positivi, ora che tutti stiamo vivendo un periodo non semplice, si enfatizza».

E questo, più che giustificare Fedeli, non fa che mettere l’accento sull’ipocrisia di chi per anni ne ha assecondato ogni comportamento, in nome di una riconoscenza che spesso sfociava nel più stomachevole servilismo. A questa dirigenza si è sempre perdonato tutto, un po’ per paura e un po’ per riconoscenza, prendendo come carità il minimo indispensabile: una società sana e l’iscrizione estiva.

Ora, dopo l’ennesima minaccia di abbandonare la squadra a sé stessa, perché tanto “Chi se la prende”, è arrivato il momento di svegliarsi. Fedeli non è il padre severo di questa piazza, che non ha mai veramente amato, non è una figura tutelare e di certo non è un salvatore. Fedeli è soltanto un bambino col pallone, e ora che ha smesso di divertirsi non vuole fare giocare più nessuno.

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