Dopo Trieste si sono tutti affannati a lodare il coraggio della Samb, salvo fare marcia indietro alla prima sconfitta. L’analisi tattica di Samb-Vis Pesaro
Sette giorni fa la partita di Trieste aveva segnato uno dei momenti più alti della stagione sambenedettese, mostrando una squadra forte soprattutto nelle idee, capace di restare loro fedele e trarne forza anche nei momenti più difficili. La vittoria con uno e poi due uomini in meno ha portato a una settimana di lodi sperticate, dove tutti si sono affannati a lodare il coraggio della Sambenedettese, la sua volontà di attaccare anche con l’uomo in meno, la forza di mantenere il sangue freddo nonostante i rischi.
Per qualche giorno qualcuno è tornato a parlare delle primissime posizioni del campionato, con la stessa inevitabilità con cui si erano affastellate le critiche fino a qualche settimane prima. Per molti versi sembrava di essere tornati all’entusiasmo dell’inizio di campionato, quando bastava una vittoria a Fano per giustificare il massimo dell’ottimismo possibile. L’idillio è durato poco: dopo la sconfitta con la Vis Pesaro c’è stato un repentino cambio di fronte, e quella che fino a pochi giorni prima era una squadra tutta cuore e coraggio è tornata a essere vuota e inconsistente, presuntuosa, banale, incapace di vincere una partita.
Come al solito, la sconfitta della Sambenedettese è stata presentata come qualcosa di drammatico, il memento mori di una squadra che aveva tutto per provare il salto, ma ora sarà costretta alla mediocrità della metà classifica. Come al solito la prestazione dei rossoblu è stata raccontata con termini molto vaghi: si è parlato di “scarso atletismo” e “approccio sbagliato”, di “tiki taka senza Messi” e “paura”. Tanti modi fantasiosi che non vanno al punto della questione, ovvero come abbiano effettivamente giocato i rossoblu.
La partita con la Vis Pesaro
Nel calcio c’è l’idea che le qualità di un giocatore o di una squadra siano valori statici, indipendenti dalle circostanze interne ed esterne alla partita. Se il risultato ribalta le aspettative si cercano spiegazioni semplici, o più generalmente i colpevoli (arbitro, allenatori, giocatori) a cui addossare tutti i motivi della sconfitta. In una prestazione come quella con la Vis Pesaro si possono trovare tante spiegazioni facili, ma nessuna di queste racconta a pieno la partita.
Se non altro perché per lunghi tratti della gara i rossoblu hanno fatto quello che dovevano fare, seguendo l’atteggiamento e i dettami del loro allenatore, seguendo lo stesso solco che in altri momenti ha portato grandi vittorie, non ultima quella di Trieste della settimana scorsa.
Contro la Vis Pesaro i rossoblu hanno giocato con aggressività e coraggio, prendendo subito il controllo del possesso e con esso anche quello del campo e della partita. La squadra ha fatto partire il gioco dal basso, con movimenti continui e coordinati, nel tentativo di creare situazioni di vantaggio sia in fase di uscita che sulla linea offensiva. Angiulli arretrava in mezzo ai due centrali per ricevere palla senza pressione, Rapisarda e Trillò si alzavano sulla fascia per dare ampiezza, Orlando e Volpicelli stringevano dentro per dare densità offensiva.
Angiulli scende tra i due centrali, Trillò si alza sulla fascia sinistra. Orlando può partire dentro al campo, e da lì ritagliarsi lo spazio per ricevere il cambio gioco del centrocampista
L’idea dei rossoblu era quella di mandare a vuoto la prima pressione e andare subito in verticale, con cambi gioco improvvisi, nel tentativo di “rubare” qualche secondo sugli scivolamenti difensivi dei biancorossi. La squadra di Pavan partiva con il 3-4-2-1, con Ejjaki e Paoli a centrocampo, Nava e Tessiore sulle fasce e la coppia De Feo-Lazzari alle spalle di Marcheggiani in attacco; in fase di possesso i vissini abbassavano i due laterali al fianco della difesa e i due trequarti ai lati della mediana, formando un 5-4-1.
Una partita bloccata
Per la Sambenedettese era fondamentale sfruttare i momenti in cui De Feo e Lazzari non erano ancora in posizione, perché si creavano spazi ai lati dei due centrocampisti: da qui il tentativo dei rossoblu di andare subito in verticale, cercando quegli spazi di mezzo. In diverse occasioni la Samb ci è andata molto vicina, ma le imprecisioni in ricezione hanno fatto perdere il momento, e dopo i primi minuti la Vis Pesaro ha risolto il rischio abbassando il baricentro.
Visto che gli spazi erano più ristretti i rossoblu hanno iniziato a cercare un possesso più ragionato, alzando il baricentro per mettere i giocatori più vicini. L’idea era sempre la stessa: coinvolgere Volpicelli e Orlando dentro al campo, dove potevano combinare coi compagni, creare superiorità numerica e mettere in difficoltà la linea a cinque della Vis.
Rapisarda si alza attirando l’esterno della Vis Pesaro, che in questo modo lascia spazio a Volpicelli; Angiulli lo serve con un filtrante tra le linee. Strumenti di gioco diversi, obiettivi di gioco simili
Se la Vis Pesaro si abbassava molto i rossoblu non avevano timore di coinvolgere anche i due centrali, lasciando un solo giocatore in copertura. Nel corso del primo tempo Biondi e Di Pasquale si sono spesso spinti in avanti per cercare di alimentare la manovra, spingendosi fino alla trequarti avversaria e cercando passaggi anche difficili verso i tre giocatori offensivi.
Orlando, Grandolfo e Volpicelli hanno avuto diversi palloni giocabili sulla trequarti, ma l’imprecisione loro e dei compagni di squadra hanno permesso a un’attenta Vis Pesaro di limitare al massimo i rischi. Paradossalmente, le migliori occasioni della Sambenedettese sono arrivate in fase di riaggressione, un dispositivo di gioco che i rossoblu avevano preparato soprattutto con intenti difensivi.
Nella conferenza prepartita Montero aveva spiegato che la chiave della gara sarebbe stata nelle fasi di transizione negativa. Una volta persa palla i rossoblu dovevano reagire immediatamente, difendendo in avanti (con la riaggressione) e tenendo ordine nelle marcature preventive. In questo, nel primo tempo, la Samb è stata quasi perfetta: rispetto alla partita di andata i sambenedettesi hanno gestito il possesso con più maturità, al netto degli errori tecnici, e quando perdevano palla hanno coperto con intelligenza e tempismo, limitando i rischi.
Nella ripresa sono arrivate le occasioni potenzialmente migliori (i colpi di testa di Grandolfo e Di Pasquale, il tiro di Frediani), ma anche i primi spifferi in fase difensiva. Col passare dei minuti la squadra di Montero ha perso gradualmente lucidità, e a 12 minuti dalla fine − sugli sviluppi di un corner a favore − ha gestito male una palla di ritorno, ha sbagliato la pressione in avanti e si è fatta infilare dalla verticalizzazione di Ejjaki. Il primo grande errore della squadra è costato il gol, e successivamente la partita.
Tanto è bastato a far andare tutto all’aria, al punto da far riuscire discussioni ridicole sul “buon caro vecchio calcio all’italiana”, come se l’andamento tattico del calcio mondiale negli ultimi dieci anni si potesse minimizzare grazie all’esito di una partita in Serie C.
Parlare tanto e sproposito
A San Benedetto il calcio è una questione nazionale, e non sorprende che a parlarne siano proprio tutti, anche quelli che non hanno nulla da dire. Nel 90% dei casi si parla sulla scorta di impressioni personali, influenzate dalla narrativa che si vuole proporre o dagli umori della piazza, ma non dall’effettiva osservazione della partita. Dopo ogni gara siamo sommersi di commenti, riflessioni, editoriali, pagelle e analisi di persone che non sanno come stanno i giocatori in campo, non conoscono gli avversari e non si sono mai presi la briga di riguardare una partita.
L’analisi si basa soprattutto sul dubbio, e non è un caso che quelli che parlano di più, dicendo più stronzate, sono quelli che parlano coi termini più assolutistici. Si produce tanto anche per una sorta di difesa personale, perché in questo modo tutto passa e tutto si confonde, e nel frattempo si fa in tempo a dire qualunque cosa senza timore di smentita. Del resto la carta diventa spesso carta straccia, mentre le trasmissioni e i giornali online vanno a finire presto negli archivi.
E quindi ci troviamo a leggere tutto e il contrario di tutto: la Samb è una squadra ora forte e poi scarsa, con giocatori ora grintosi e poi arroganti, con un allenatore ora preparato e poi ingenuo, in un pendolo continuo che oscilla in base alle vittorie e alle sconfitte. Dopo una settimana in cui si è esaltato il “bel gioco” della Samb sentiamo dire che stavolta la squadra ha rischiato troppo, facendo un “tiki taka” sterile e poco utile.
Viene da chiedersi cosa sia effettivamente il “bel gioco”, un’etichetta senza senso appioppata a Montero, come se il tecnico facesse le sue scelte per qualche fantomatico senso estetico e non per vincere le partite. Il “bel gioco” di Montero è quello di una squadra che prova a controllare il gioco attraverso il possesso, usato per creare spazi e per portare in alto la linea difensiva. La Samb ha sempre provato a giocare in questo modo, dalla prima trasferta a Fano a quella di Trieste, e ha fatto lo stesso anche sabato pomeriggio. A volte ha dato i suoi frutti, a volte no; rivendicare ed esaltare questo atteggiamento solo nelle vittorie, criticandolo quando si perde, significa che oltre al senso di questa squadra si è perso anche il senso del ridicolo.